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Alla vigilia del processo contro i/le notav che inizierà a Torino il 6 luglio, continuiamo la nostra corrispondenza.
In questo caso abbiamo sentito Gabriela, Lorenzo e Marcelo e con loro abbiamo parlato del carcere e dei suoi incontri, della solidarietà e del processo imminente con particolare attenzione anche al documento scritto da alcuni/e imputati/e milanesi a riguardo.
da: RadioCane
A pochi giorni dal processo, nuove attenuazioni delle misure cautelari: sostituito l’ obbligo di dimora a Francesco Bernardi di Modena con il divieto di dimora in Chiomonte, Gaglione, Chinocco, Exiless e Bussoleno.
Per Gabriele Filippi di Genova revoca domiciliari e divieto dimora in zona cantiere.
Ricordiamo che Venerdì 6 luglio ci sarà la prima udienza del processo contro gli arrestati per il 3 luglio scorso.
PRESIDIO SOTTO AL TRIBUNALE DI TORINO ore 9,30
Il 2 Luglio 2012, una vasta operazione di polizia è stata lanciata su tutta la città di Salonicco, con incursioni in due case occupate, perquisizioni domiciliari e massicce detenzioni preventive ( persone che siano state catturate anche nelle loro abitazioni private, e su molte strade, e solo dopo alcune ore sono state rilasciate dai dipartimenti della polizia), e con arresti. Finora sono riportarti 25 arrestati, ed è possibile che saranno accusati di crimini.
In particolare, le forze di polizia hanno preso d’assalto lo spazio anarchico Nadir alle 6:30 circa, detenendo persone all’interno dell’edificio. I sbirri di seguito hanno preso d’assalto anche l’occupazione Orfanotrofio, detenendo anche persone da lì.
I mezzi d’informazione greci hanno immediatamente collegato questa repressione a delle indagini della polizia in merito ad eventi che hanno avuto luogo negli ultimi mesi in questa città del nord della Grecia.
Al diavolo i mercenari della polizia ed i media dominanti… Siamo ben consapevoli del fatto che la magistratura e la polizia serviranno lealmente qualsiasi propaganda dominante, all’interno d’una guerra crescente contro il nemico interno.
Tuttavia, non possiamo evitare di menzionare che questi cosiddetti “eventi degli ultimi mesi” potrebbero realmente far riferimento a dei gravi conflitti tra individui e/o collettivi di Salonicco che sono ( almeno in teoria, o secondo osservatori esterni ) affiliati allo stesso spazio politico, ma hanno adottato tendenze ed approcci diversi, il più delle volte uno contro l’altro (anche con comunicati pubblici in alcuni casi). Ci sono molti fatti deliberatamente lasciati “in silenzio” per quello che riguarda un apparente conflitto interno all’interno degli spazi attivi dell’ampio movimento libertario della città di Salonicco, e questo dibattito potrebbe anche non essere mai analizzato pubblicamente. Ma possiamo riflettere sul pericolo più profondo che si cela dietro tali discordie, ora che la repressione ha colpito duramente, ed apparentemente l’operazione poliziesca colpisce compagni di entrambe le “parti” di questo tipo di conflitto.
Cerchiamo di dimostrare il nostro sostegno non negoziabile per gli arrestati, prima di passare ad una autocritica di fatto. Solidarietà prima e sempre, libertà per tutti i compagni.
Radio Blackout spegne le sue prime 20 candeline! 20 anni di controinformazione, autogestione, musica non convenzionale e tanta passione meritano quindi di essere festeggiati nel migliore dei modi. Da giovedì 5 luglio e fino a domenica 8 luglio Blackout trasloca dalle abituali location cittadine in cui normalmente si tengono le iniziative di autofinanziamento e si sposta ad Avigliana, presso il VisRabbia (ex Dinamitificio di Avigliana). Spazio alla musica, al teatro e a dibattiti di vario genere, il tutto condito dalla presenza di banchetti e distribuzioni provenienti da tutta Italia. Inoltre come di consueto Radio Blackout metterà a disposizione un servizio bar e di ristorazione low cost.
Il VisRabbia (Ex Dinamitificio di Avigliana ) si trova Via Galiniè 40, Avigliana (To)
riceviamo e diffondiamo:
Un brigante in gabbia
Con il fraterno appoggio solidale dei compagni e delle compagne della “Cassa antirep. delle Alpi occidentali”, comunico quanto segue:
Il 13 giugno 2012 sono stato tratto in arresto a Pisa, assieme alla mia compagna Elisa, all’interno dell’“Operazione Ardire” della procura di Perugia. I carabinieri del ROS hanno sfondato la porta e mi hanno condotto in caserma, in cui sono stato schedato e sottoposto al prelievo del dna e dove ho subito una pesante provocazione. In seguito sono stato ristretto presso il carcere Don Bosco di Pisa.
Il 16 giugno sono stato interrogato dal gip, ma – ovviamente – mi sono avvalso della facoltà di non rispondere. Il passo successivo a livello legale sarà il tribunale del riesame.
Per ragioni che spiegherò a breve, sono stato impossibilitato ad accedere a qualsiasi canale informativo e pertanto ho una visione piuttosto ristretta di quel che è accaduto. Ad esempio, non conosco chi siano gli indagati, oltre a noi dieci tratti in arresto, e nemmeno conosco dove siano state effettuate le 40 perquisizioni.
L’ordinanza di custodia cautelare nei miei confronti è di oltre 200 pagine, e in essa le accuse che mi vengono imputate sono piuttosto pesanti: ideologo ed esecutore materiale di una serie infinita di azioni dirette, oltre a coordinamento e propaganda di campagne solidali con i prigionieri anarchici di tutto il mondo. Ma, nel merito delle accuse ritornerò in futuro dopo una attenta analisi delle carte processuali.
Anticipo solo che lo schema seguito dagli investigatori sembra ripercorrere in pieno i tanti teoremi accusatori degli anni Settanta e Ottanta. La differenza fondamentale è che stavolta al centro dell’attenzione c’è il blog anarchico “Culmine”. Su questo punto, ovvero sulla presunta libertà di contro-informare ai tempi di internet, sarà doverosa una riflessione all’interno del movimento anarchico internazionale.
Essendo imputato di 270 bis e 280 sono stato classificato in A.S.2, ovvero devo scontare la carcerazione preventiva in un regime di Alta sorveglianza. Ma il carcere di Pisa, in cui mi trovo, non ha sezioni per l’A.S. ed è così che non ho socialità e faccio l’aria da solo in una sorta di isolamento informale!
È molto probabile che mi trasferiranno in un carcere che abbia delle sezioni i A.S.
I tanti compagni che mi conoscono da decenni sanno quanto sia importante per me il contatto con gli anarchici e le anarchiche. Se in questi giorni non avete avuto mie notizie, nemmeno un saluto, è perché sono stato impossibilitato a farlo.
In pratica, dal giorno del mio arresto fino al 22 giugno, giorno in cui mi è stata notificata la censura della corrispondenza, non ho ricevuto nulla, ma proprio nulla da parte dei compagni, nonostante i siano stati spediti telegrammi, cartoline, lettere solidali. Nel frattempo avevo scritto 13 lettere, utilizzando i pochi indirizzi memorizzati, e non ho idea se tali missive siano mai state recapitate. Pertanto, in dieci giorni di prigionia ho subito il blocco e sequestro totale di tutta corrispondenza, in entrata e in uscita. Non ho idea di quanto legale sia tale trattamento e, da anarchico, non mi interessa impugnarlo. Ci tengo solo a far conoscere questo pericoloso precedente negativo con un anarchico. Tratto in arresto e “desaparecido” dallo Stato italiano per dieci giorni, senza neanche poter ricevere telegrammi solidali. Per carità, nessun vittimismo, solo una constatazione di quel che il sistema si prepara a fare contro noi anarchici.
Il giorno stesso dei nostri arresti è intervenuta anche il ministro degli interni, stesso copione già visto con l’arresto dei compas cileni coinvolti nel caso “Bombas”, dei compagni greci della “Cospirazione delle cellule di fuoco”, degli arrestati in Bolivia. Anche su questo, ovvero sulla internazionale della repressione anti-anarchica, bisognerà riflettere.
Oltre alla censura della corrispondenza, ho il divieto di incontro e di corrispondenza con la mia compagna Elisa, rinchiusa nel femminile del carcere di Pisa.
Fino ad oggi, per i motivi sopra esposti, non mi è stato possibile contattare i miei coimputati/e, dei quali non avevo nemmeno il recapito. Annuncio che, appena dopo il riesame, inizierò a preparare la mia difesa tecnica con la quale smentirò, punto per punto, le tante menzogne diffuse in questi giorni. I compagni anarchici che mi conoscono da decenni sanno bene che non sono così sprovveduto, come vorrebbero far credere. Questo è il mio quinto 270 bis, in precedenza sono stato assolto o archiviato prima del processo per analoghe associazioni sovversive da parte delle Procure di Genova, Lecce, Torino e Firenze.
Da individualista quale sono, ho sempre trovato affascinante il percorso dell’antigiuridismo anarchico, e sulle mie spalle di pregiudicato ho una condanna per “Oltraggio all’onore e al prestigio del corpo giudiziario”, ma credo che tale percorso abbia dei limiti, soprattutto quando ci si trova dinanzi a un teorema accusatorio pieno di menzogne, manipolazioni e clamorosi errori di traduzione.
Per preparare la mia difesa tecnica – si badi bene, senza accettare nessun interrogatorio da parte della giustizia – ho bisogno di un grande aiuto da parte del movimento anarchico, italiano e non solo. In pratica, devo ricostruire con documenti, comunicati, articoli e libri la storia dell’anarchismo d’azione degli ultimi decenni. Di volta in volta segnalerò i materiali dei quali avrò bisogno. Ovviamente mi auguro che qualche compagno smanettone salvi tutto il data-base di Culmine, con una particolare attenzione alla cronologia dei post pubblicati. Più copie saranno salvate e meglio sarà. (Occhio, quando consultate Culmine evitate di fare commenti a voce alta, potreste essere arrestati all’istante!)
Tutti noi anarchici sappiamo che un giorno o l’altro potremmo finire dietro le sbarre, ma quel che colpisce in questo caso è il feroce accanimento nei confronti di due carissimi amici e compagni: Marco e Gabriel che, per ragioni diverse, erano prossimi a una decisiva svolta della loro lunghissima situazione detentiva. Colpisce soprattutto quel che si dice contro Marco e penso sia urgente che il movimento anarchico internazionale si ponga l’obiettivo di valutare come sostenerlo in maniera efficace.
Non ho idea se mi verrà recapitata tutta la corrispondenza.
Io risponderò a tutte le lettere e cartoline che riceverò. Per via della censura, vi consiglio di inviarmi in maniera separata materiale scritto in italiano da quello scritto in altre lingue (spagnolo e inglese).
Invio un forte abbraccio ai compagni e alle compagne che mi/ci hanno espresso la propria solidarietà, come il corteo spontaneo di Trento, quello di Perugia o il manifesto di Pisa.
Un abbraccio carico di cariño al Tortuga!
Un caro saluto ribelle dal brigante in gabbia
Stefano Gabriele Fosco
C.c. di Pisa, via Don Bosco 43, 56127 Pisa
24 giugno 2012
da: Informa-azione
Lunedì mattina, il 18 giugno, l’occupazione di via Scaldasole è stata sgomberata. I fabbri dell’ALER hanno saldato le saracinesche, la facciata è stata completamente ridipinta mentre la polizia locale impediva l’accesso alla via. Si dice che il posto, dopo anni di abbandono e disinteresse da parte del Comune, sia stato assegnato all’improvviso. Qualche radical-chic borghese ci vorrebbe fare una vineria, a quanto pare.
Via Scaldasole, dopo tre mesi di occupazione, di sperimentazione, di rifiorire della vita in strada torna ad essere ciò che era prima dell’occupazione: una striscia d’asfalto grigia, morta, puzzolente del piscio dei bevitori delle colonne, dove passano solo macchine e hipsters di latta.
Rimangono questi tre mesi. Tre mesi di cene in strada, di organizzazione politica, di ragazzi che giocano a palla prigioniera fra le macchine, di vita comune, di abbellimento dei muri, di cucina permanente, di incontri fra ignoti e cospirazione aperta a tutti.
Fin dal primo giorno di occupazione, l’intento è stato chiaro. C’era bisogno di una base, di un punto di partenza verso l’intera metropoli, non di un centro sociale in cui rinchiudersi. C’era bisogno di fare assemblee, pianificare azioni, preparare cortei, ma anche soltanto di mangiare insieme tutti i giorni, giocare a ping pong, studiare tutti attorno a uno stesso tavolo. E così è stato, le pretese non erano irrealizzabili, corrispondevano alle necessità del momento a Milano e si può dire che gli impegni siano stati mantenuti. Ora occorre andare avanti.
Uno sgombero in più quindi. Giunta di destra, giunta di sinistra: sgomberi spettacolari, sgomberi discreti. Niente di nuovo sotto il sole. Chi rifiuta il giochetto del dialogo con i poteri, insomma chi sceglie l’autonomia, sa bene che può contare solo sul rapporto di forza che sarà in grado di sostenere e che prima o poi la polizia proverà ad annientarlo.
Niente da dire quindi sugli sgomberi gentili, sugli infami arancioni nei palazzi o sugli opportunisti che li appoggiano. L’unica novità di questa primavera non riguarda gli sgomberi ma anzi le occupazioni, che si moltiplicano di nuovo a Milano, in tutte le zone, secondo i bisogni di ciascuno: case, centri sociali, luoghi politici, etc. Ogni occupazione aiuta. Stimola il riflesso di prendersi ciò che serve invece che chiederlo, desacralizza la proprietà privata o profana lo spazio pubblico per restituire entrambi al comune, libera dal bisogno pressante di soldi e quindi dalla dittatura del lavoro.
Dopo la primavera arriva l’estate, e quest’estate è in un altro punto della metropoli infinita che si farà sentire il bisogno di una presenza determinata e numerosa. Un punto sotto occupazione, ma in questo caso da parte della polizia, dell’esercito e dei biechi imprenditori che vogliono costruire il TAV. Questo punto è la Val di Susa, in cui si terrà un campeggio di lotta e di incontri, dal primo di luglio alla fine di agosto.
Se dopo gli arresti del 26 gennaio era urgente portare la valle in città, adesso è la città che deve tornare in valle, per confrontarsi con il movimento lassù, per conoscere i compagni da tutta Italia e vedere cosa hanno combinato dalle loro parti e soprattutto cosa si potrebbe pensare tutti insieme per impedire la costruzione di questo odioso treno, per sostenere i compagni sotto processo dal 6 luglio, per rinforzare ovunque il movimento rivoluzionario.
Non ci sarà quindi una nuova occupazione. Per chi vuole organizzarsi per andare in Val di Susa, per chi vuole portare aiuto ai processati, per chi vuole ritrovare gli occupanti, passate pure alla libreria occupata ex-CUEM, in Statale, che rimarrà aperta fino a metà luglio. Per il resto, ci vediamo a settembre, la storia non finisce qui.
Sgomberati mille volte ma mai sconfitti, con Marcelo di nuovo al nostro fianco, con l’entusiasmo rivoluzionario sempre dalla nostra parte
Gli occupanti di via Scaldasole
E’ avvenuto nella mattinata di ieri ma la notizia è iniziata a trapelare tra il movimento solo nel tardo pomeriggio.
Ad un anno dallo sgombero della Maddalena e dal 3 luglio, il teorema giudiziario della procura della Republica di Torino, guidata da Gian Carlo Caselli non si ferma, e scattano nuove misure cautelari per gli scontri del 3 luglio, quando il movimento assediò il cantiere sorto dopo lo sgombero manu militari della Libera Repubblica della Maddalena. Luca, 20 di Vaie, valsusino e Elena, 25 anni di Bologna sono stati colpiti da provvedimenti di arresto e privazione della libertà, nello specifico Luca ha l’obbligo di dimora, mentre Elena è agli arresti domiciliari.
Ma il movimento non si ferma e rilancia con una nuova passeggiata serrale verso il cantiere per mercoledì sera, un ampio dibattito pubblico al campeggio il il 3 luglio per affrontare il maxi-processo e un grande presidio con delegazioni nazionali il 6 luglio di fronte al tribunale
Ascolta in streaming su Radio Blackout
[Solidarietà] Torre Maura + Bencivenga
25-Giu-12Marcelo e Mau sono stati trasferiti dal carcere di San Vittore. Di seguito i contatti aggiornati.
Sosteniamo i prigionieri No Tav, inviamo lettere, telegrammi e cartoline per non farli sentire soli!
No Tav Ovunque!
per scrivergli:
Maurizio Ferrari – c.c via Roncata 75 12100 Cuneo
Marcelo Damian Jara Marin – [dal 22 giugno trasferito ai domiciliari]
altri prigionieri No Tav ancora in carcere:
Alessio Del Sordo – C.C. via Pianezza 300 – 10151 Torino
Juan Antonio Sorroche Fernandez – C.C. – Via Beccaria, 13 – Loc. Spini di Gardolo – 38014 Gardolo – TN
[No Tav] Il movimento No Tav alla sbarra
22-Giu-12ALCUNI NO TAV IMPUTATI
PROCESSO NO TAV
L’operazione giudiziaria del 26 gennaio scorso, secondo le parole del procuratore capo di Torino Caselli, ha voluto colpire dei singoli fatti delittuosi e non il movimento No Tav nel suo insieme. Il reale tentativo è stato quello di isolare dal proprio contesto i fatti del 27 giugno e del 3 luglio, depoliticizzare quelle giornate, colpendo chiunque si trovasse fisicamente ad affrontare la polizia per difendere la Libera Repubblica della Maddalena prima e per cercare di riprenderla poi.
“Portare la valle in città”
La solidarietà agli arrestati si è diffusa in tutta Italia confermando che la lotta No Tav non è solamente una lotta locale, ma trae la sua forza dal collegamento e dalla vicinanza con le altre lotte.
Il movimento No Tav ha assunto la questione repressiva come già aveva fatto dopo il 3 luglio, quando una campagna mediatica si era scatenata per costruire l’identikit del black bloc sbarcato in Val Susa per attaccare la polizia.
Il “siamo tutti black bloc” seguito dal “si parte e si torna insieme” da semplici slogan sono diventate pratiche e modalità condivise. Così anche nella fase processuale, momento particolarmente delicato, è necessario che si rivelino in tutta la loro forza, in quanto patrimonio collettivo.
Il fatto che la maggior parte degli arrestati non fossero abitanti della Val Susa ha provocato l’effetto opposto rispetto a ciò che si auspicavano i magistrati. Dopo gli arresti sono state innumerevoli le azioni di solidarietà diffuse in tutta la penisola e oltre, dai blocchi stradali alle occupazioni di stazioni, passando per i benefit e gli incontri pubblici a sostegno della lotta. Il collegamento del movimento No Tav con il resto del paese si è reso ancora più evidente, ancora più intenso.
Il processo è parte della lotta No Tav
Non sono solo la vicinanza e la solidarietà attiva agli arrestati a fare del processo una parte della lotta No Tav. E’ necessaria un’assunzione da parte di tutti, un’elaborazione comune delle pratiche e delle parole giuste per affrontare ogni fase processuale. Serve un collegamento tra i momenti giuridici, che si reggono su un terreno a noi ostile, e il ritmo della lotta stessa. L’intensità raggiunta con le esperienze vissute durante le varie fasi della lotta costituisce una risorsa preziosa che non possiamo permetterci di disperdere.
Mentre il processo inizierà il 6 luglio, un campeggio sarà già presente in valle, creando un spazio d’incontro dove intensificare i legami già esistenti e conoscere nuovi compagni. La circolazione tra questi due ed altri momenti sarà un’occasione per rafforzare il movimento e trasformare l’operazione repressiva, lanciata dalla magistratura, in un boomerang che le si rivolga contro.
Subire un arresto, dover passare mesi in carcere, sentire la mancanza di un compagno, un amico indispensabile per la lotta ha un peso enorme sulla forza del singolo e della collettività che gli è vicino. D’altra parte sono i momenti difficili a svelare quanto di politico nasconde un’amicizia, quanto è forte e indissolubile prendere dei rischi insieme, stringersi per non sentirsi soli a subire la repressione. Il volto del potere non assume i tratti di un’astratta figura che dirige e impone dall’alto, come un moderno Leviatano, ma è qualcosa di molto più familiare fatto di funzionari che ci negano permessi, poliziotti che ci svegliano nel cuore della notte, comportamenti che a volte noi stessi riproduciamo e dispositivi che ci tengono divisi.
Dagli arresti del 26 gennaio le misure restrittive sono state dure, tenendo ancora in carcere quattro compagni a distanza di quasi cinque mesi, censurando le corrispondenze, respingendo richieste di permessi. L’accanimento repressivo dimostra quanto la lotta No Tav faccia paura, perché capace di rendersi offensiva e non solo resistente, continuativa ma anche attraversata da momenti di accelerazione.
IPOTESI SU UNA DIFESA COLLETTIVA
A Milano alcuni imputati del processo No Tav si sono incontrati con altri compagni per iniziare a confrontarsi su come affrontare il processo che inizierà il 6 luglio al tribunale di Torino.
La volontà di costituire un’unità al processo, non è solo una scelta di difesa ma una possibilità d’attacco, in quanto l’obiettivo della giustizia, come già avvenuto con l’operazione repressiva, è quello di dividerci. Per questo le scelte individuali o le deleghe non consapevoli agli avvocati rischierebbero di depotenziare la difesa collettiva e di prestare il fianco all’accusa.
Unità non vuol dire uniformarsi ad una linea monolitica di difesa o cadere in un frontismo neutro che annulli le divergenze, ma significa arrivare compatti pur nella diversità di posizioni e di sensibilità. L’eterogeneità non deve essere un ostacolo: può diventare un’occasione per elaborare insieme le scelte su ogni passaggio processuale. Il processo dovrebbe essere affrontato con la stessa attitudine con cui il movimento No Tav è riuscito a rimanere compatto nelle sue differenze, anche nei momenti difficili. Così come parte e si torna insieme nei boschi della Clarea, e tra i guardrail dell’A32, con lo stesso spirito dobbiamo affrontare l’infame aula del tribunale.
Difesa comune significa confrontarsi il più possibile tra imputati e avvocati sulle scelte da fare, allargando la presa in carico del processo a tutto il movimento No Tav. Fondamentale è il collegamento con le prossime fasi della lotta, portando tutta la forza che il campeggio saprà esprimere all’interno del tribunale.
Scegliere il rito ordinario è un’occasione per collegare le fasi processuali con la lotta. Andare a dibattimento, portare testimonianze ed elementi difensivi significa entrare in un terreno ostile non come soggetti passivi che attendono il giudizio, ma prendendo parte al processo con lo spirito combattivo che caratterizza il movimento No Tav. Rinunciare a questa opzione e fare la scelta del rito abbreviato preclude ogni possibilità di rendere questo processo un’occasione politica e di rilancio della lotta. Oltre che esporre se stessi e gli altri a rischi maggiori, questo confermerebbe la tesi dell’accusa di trovarsi di fronte ad un movimento frammentato.
Pur consapevoli delle difficoltà soggettive ed emotive che attraversano gli imputati, la posizione più forte che possiamo sostenere è che davanti ai giudici non ci saranno degli individui chiamati a rispondere delle loro azioni, ma un intero movimento di lotta che non si è fermato davanti alle cariche e nemmeno davanti ad arresti e processi.
L’intenzione di questo documento è proporre una discussione rispetto al processo, alle scelte tecniche e un confronto per non arrivare divisi in aula, per non partire già rassegnati alla condanna.
[No Tav] Lettera agli imputati No Tav
22-Giu-12ALCUNI IMPUTATI DEL 26 GENNAIO
LETTERA AGLI IMPUTATI NO TAV
Cari compagni e compagne,
Siamo alcuni imputati di Milano del processo No Tav. Abbiamo deciso di inviarvi questa lettera per condividere delle riflessioni avute durante alcuni incontri a Milano con altri compagni.
Vorremmo che questa discussione, appena avviata, venisse condivisa il più possibile e che chiunque possa contribuire, nonostante la lontananza fisica.
La vastità territoriale e numerica delle persone colpite non devono essere un ostacolo al tentativo di arrivare uniti al processo. Questa volontà di unità non significa sottostare a una linea comune da seguire ma elaborare costantemente riflessioni sulle scelte processuali, sui meccanismi repressivi e sulle possibilità di difesa.
L’intento è di trovare un equilibrio tra il piano tecnico di difesa e il piano politico in modo non esclusivamente difensivo, ma teso al rilancio della lotta. In questi cinque mesi, la difficoltà portata dalle diverse custodie cautelari ha ostacolato un reale confronto.
La repressione produce isolamento e paura, che talvolta portano ad automatismi: ad esempio il meccanismo di delega di alcune scelte agli avvocati o l’incapacità di vedere questo processo come politico, con possibili risvolti positivi.
Leggiamo l’operazione giudiziaria non come un attacco a dei singoli atti delittuosi, ma come un attacco a tutto il movimento No Tav. Esso ha sempre saputo compattarsi e unirsi pur nelle sue profonde differenze interne. Allo stesso modo auspichiamo un’assunzione maggiore del processo da parte di tutti.
Abbiamo valutato che il dibattimento possa essere un’occasione per portare la lotta contro il Tav al dì fuori del suo contesto territoriale. Pur consapevoli dell’ostilità del terreno giudiziario, siamo sicuri che i No Tav sapranno muoversi con destrezza anche in questo ambito.
Crediamo infatti che il processo sia parte integrante della lotta No Tav e non qualcosa di periferico. Visto che inizierà in concomitanza con il campeggio estivo in valle, invitiamo tutti, imputati e non, a pensare come questi due momenti possano collegarsi. Anche se fisicamente gli incontri saranno difficili a causa delle misure cautelari, vorremmo che questa lettera fosse l’inizio di una corrispondenza che porti ricchezza ai momenti di lotta estivi.
Alleghiamo a questa lettera un documento che approfondisce alcuni punti di discussione.
Un abbraccio caloroso a tutti e tutte.
Per scriverci:
Mirko LAVEZZOLI
via Borsi 10
20143 Milano