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[Milano] Sullo sgombero di via Scaldasole

Lunedì mattina, il 18 giugno, l’occupazione di via Scaldasole è stata sgomberata. I fabbri dell’ALER hanno saldato le saracinesche, la facciata è stata completamente ridipinta mentre la polizia locale impediva l’accesso alla via. Si dice che il posto, dopo anni di abbandono e disinteresse da parte del Comune, sia stato assegnato all’improvviso. Qualche radical-chic borghese ci vorrebbe fare una vineria, a quanto pare.

Via Scaldasole, dopo tre mesi di occupazione, di sperimentazione, di rifiorire della vita in strada torna ad essere ciò che era prima dell’occupazione: una striscia d’asfalto grigia, morta, puzzolente del piscio dei bevitori delle colonne, dove passano solo macchine e hipsters di latta.

Rimangono questi tre mesi. Tre mesi di cene in strada, di organizzazione politica, di ragazzi che giocano a palla prigioniera fra le macchine, di vita comune, di abbellimento dei muri, di cucina permanente, di incontri fra ignoti e cospirazione aperta a tutti.

Fin dal primo giorno di occupazione, l’intento è stato chiaro. C’era bisogno di una base, di un punto di partenza verso l’intera metropoli, non di un centro sociale in cui rinchiudersi. C’era bisogno di fare assemblee, pianificare azioni, preparare cortei, ma anche soltanto di mangiare insieme tutti i giorni, giocare a ping pong, studiare tutti attorno a uno stesso tavolo. E così è stato, le pretese non erano irrealizzabili, corrispondevano alle necessità del momento a Milano e si può dire che gli impegni siano stati mantenuti. Ora occorre andare avanti.

Uno sgombero in più quindi. Giunta di destra, giunta di sinistra: sgomberi spettacolari, sgomberi discreti. Niente di nuovo sotto il sole. Chi rifiuta il giochetto del dialogo con i poteri, insomma chi sceglie l’autonomia, sa bene che può contare solo sul rapporto di forza che sarà in grado di sostenere e che prima o poi la polizia proverà ad annientarlo.

Niente da dire quindi sugli sgomberi gentili, sugli infami arancioni nei palazzi o sugli opportunisti che li appoggiano. L’unica novità di questa primavera non riguarda gli sgomberi ma anzi le occupazioni, che si moltiplicano di nuovo a Milano, in tutte le zone, secondo i bisogni di ciascuno: case, centri sociali, luoghi politici, etc. Ogni occupazione aiuta. Stimola il riflesso di prendersi ciò che serve invece che chiederlo, desacralizza la proprietà privata o profana lo spazio pubblico per restituire entrambi al comune, libera dal bisogno pressante di soldi e quindi dalla dittatura del lavoro.

Dopo la primavera arriva l’estate, e quest’estate è in un altro punto della metropoli infinita che si farà sentire il bisogno di una presenza determinata e numerosa. Un punto sotto occupazione, ma in questo caso da parte della polizia, dell’esercito e dei biechi imprenditori che vogliono costruire il TAV. Questo punto è la Val di Susa, in cui si terrà un campeggio di lotta e di incontri, dal primo di luglio alla fine di agosto.

Se dopo gli arresti del 26 gennaio era urgente portare la valle in città, adesso è la città che deve tornare in valle, per confrontarsi con il movimento lassù, per conoscere i compagni da tutta Italia e vedere cosa hanno combinato dalle loro parti e soprattutto cosa si potrebbe pensare tutti insieme per impedire la costruzione di questo odioso treno, per sostenere i compagni sotto processo dal 6 luglio, per rinforzare ovunque il movimento rivoluzionario.

Non ci sarà quindi una nuova occupazione. Per chi vuole organizzarsi per andare in Val di Susa, per chi vuole portare aiuto ai processati, per chi vuole ritrovare gli occupanti, passate pure alla libreria occupata ex-CUEM, in Statale, che rimarrà aperta fino a metà luglio. Per il resto, ci vediamo a settembre, la storia non finisce qui.

Sgomberati mille volte ma mai sconfitti, con Marcelo di nuovo al nostro fianco, con l’entusiasmo rivoluzionario sempre dalla nostra parte

Gli occupanti di via Scaldasole