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LIBERE TUTTE E TUTTI

LIBERE TUTTE E TUTTI

Giovanni Caputi, 22enne originario di Terlizzi, in provincia di Bari, è stato condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione per resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale, dai giudici della decima sezione penale del tribunale, al termine del giudizio con rito abbreviato. La procura aveva chiesto una condanna a 4 anni.” “La procura ha comunicato che nei confronti del Caputi sta procedendo anche per l’accusa di devastazione”

Queste le fredde parole delle agenzie di stampa.

Il Tribunale per conto dello Stato ti vuole sbattere in una cella, Giovanni, per punirti, perché sei uno dei tanti e tante che non vogliono più subire passivamente.

Ma perché proprio te? Non perché “hai fatto” qualcosa di particolarmente “efferato”, ma perché “sei” uno di quelle migliaia/decine di migliaia/centinaia di migliaia/milioni che non vogliono sottomettersi all’ordine dello stato di cose presenti che impone “nostri” sacrifici necessari alla “loro” crisi.

Hanno colpito te e pochi altri e altre per terrorizzare quei ragazzi e ragazze, quelle donne e quegli uomini che si stanno incamminando lungo la strada della ribellione sociale. Lo Stato, coadiuvato dal potere dei media riattiva il più antico e triviale dei riti: quello del capro espiatorio.

Questo ordine cui vogliono sottometterci è lo stesso che produce miseria e fame, devastazioni ambientali e umane, egoismo e guerre tra poveri, ma anche guerre tra eserciti con inauditi massacri. Questo stesso ordine consente a una piccola parte della popolazione di accrescere ricchezza e potere, sempre di più, un potere totale che si libera via via di quegli orpelli democratici di cui amava ornarsi.

A questo punto ci sembra illusorio il patetico tentativo di chi vuole tornare indietro “ai bei tempi in cui la democrazia funzionava e anche i diritti”; tempi che, in realtà, per le classi subalterne, per i lavoratori, per gli studenti, per i migranti, per le donne non sono mai esistiti, se non nelle parole di chi glorificava le liturgie democratiche. Quello che realmente è successo, nei decenni passati, è stato uno scontro duro e prolungato grazie al quale i lavoratori hanno strappato, con la forza, alcune conquiste che oggi il capitale finanziario e produttivo ci sta togliendo violentemente. L’illusione del “ritorno alla democrazia e alle politiche inclusive” viene coltivata da quelle “anime belle” che sperano di evitare lo scontro frontale e ci propinano inguacchi nazional patriottici, affliggendoci col rimpianto della perduta (ma quando?) sovranità nazionale.

Ma non dobbiamo spaventarci: questi deliri punitivi dello Stato, queste accozzaglie patriottiche dei partiti, altro non sono che dimostrazioni dell’impotenza degli gnomi della finanza e delle banche strangolati dalle insaziabili urgenze del capitale e del profitto. Ma le loro ricette di “lacrime e sangue” per “uscire dalla crisi” malamente occultano la realizzazione di un modello di accumulazione ancor più rigido e disciplinante di quello attuale, incardinato su un feroce sfruttamento del lavoro e saccheggio dei territori.

Opporci a tutto ciò, disordinare quell’ordine è un nostro dovere, verso di noi e verso l’umanità. Solo nelle pieghe del disordine capitalistico possono nascere gli embrioni di una società opposta e alternativa a quella attuale, costruendo relazioni fondate sull’uguaglianza, la solidarietà e il rispetto di ciascuna e ciascuno: una vera trasformazione sociale rivoluzionaria.

Questo programma comincia a costruire il proprio linguaggio, nei territori che resistono alla devastazione (No Tav, No Inceneritori, No discariche…) nelle occupazioni studentesche, nella ripresa delle lotte del lavoro (trasporti, ecc….), e la ribellione del 15 ottobre è stato un ulteriore passaggio.

Repressione e galera troveremo sempre più sul nostro cammino, da sempre sono questi gli strumenti del potere per impedire la trasformazione sociale. Il carcere cerca di rinchiudere i soggetti che lottano per separarli dal loro ambiente, è questo l’annientamento. Ma la lotta collettiva ha scavalcato le alte mura e anche nel carcere è risuonato il linguaggio della rivolta. Non ci faremo certo intimidire dal carcere e dalla repressione ma cercheremo, con ogni mezzo, di riportare in mezzo a noi chi ci viene strappato, in mezzo a noi perché riprendano il loro posto di lotta.

Siamo con te Giovanni, cercheremo di impedire con tutte le nostre forze di farti rinchiudere in quelle celle.

Per scrivere a Giovanni Caputi: carcere di Regina Coeli, Via della Lungara 29, 00165 Roma

Il prossimo 5 dicembre è fissata l’udienza per il processo per direttissima nei confronti di:

Robert Scarlat, Stefano Conigliaro e Ilaria Ciancamerla.

Stiamo al loro fianco

S.R.