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No Tav – Jack ai domiciliari
15-Mar-12La battaglia di Ðiện Biên Phủ segna la fine della Guerra d’Indocina, combattuta dalle forze Vietnamite del movimento di indipendenza (Việt Minh) comandate da Hồ Chí Minh, contro le truppe d’occupazione francesi. Dopo 9 anni di un conflitto iniziato con il bombardamento francese di Haiphong nel ’46, cadeva finalmente il dominio occidentale su Vietnam del Nord, Laos e Cambogia. Come sappiamo, l’emancipazione del Vietnam del Sud ebbe storia più travagliata.
Verso la fine del 1953 i francesi iniziarono a costruire un’imponente base aerea nella piana di Ðiện Biên Phủ. L’intento era quello di consolidare la propria mano nella partita che si sarebbe giocata di lì a poco alla Conferenza di Ginevra, con una grossa vittoria. Circa 13.000 uomini ersero in pochi mesi un intricato sistema di trincerazione e di bunkers attorno alla base, conquistando e fortificando le otto colline che la circondavano.
Ai primi di marzo divenne chiaro agli occupanti che i Việt Minh si stavano preparando alla controffensiva, concentrando un importante numero di truppe nell’area.
La notte del 13 marzo iniziò con un attacco a sorpresa l’offensiva comunista, sotto la direzione del generale Võ Nguyên Giáp. Con poche e rapide mosse i Việt Minh erano riusciti a circondare la base con grosse batterie di mortai pesanti, che solo la prima notte scaricarono sugli assediati oltre 9.ooo colpi. La battaglia venne presto spostata da Giáp su diversi fronti: tutte le postazioni collinari erano costrette solo sulle proprie forze, essendo troppo distanti dalla base e tra di loro, per potersi dare man forte. Ciò che colse di sopresa i francesi fu l’aver sottovalutato la capacità di muoversi su di un terreno così accidentato del nemico, che invece riuscì a portare fin sotto il loro naso un gruppo di fuoco di così grandi dimensioni.
Già alla fine di marzo, con le forze e il parco d’artiglieria acquisito, Giáp avrebbe potuto lanciare tutti i suoi battaglioni contemporaneamente contro le difese di Dien Bien Phu e schiacciare la guarnigione all’interno. Invece si decise per delle azioni meno costose che facessero “sanguinare lentamente l’elefante che muore”.
I francesi riuscirono a resistere fino all’inizio dei lavori della Conferenza di Pace di Ginevra (che iniziarono il 26 aprile), ma soccombettero il 7 di maggio, dopo un ultimo assalto frontale dei vietnamiti.
Quell’asso che il governo di Parigi avrebbe voluto nella sua mano al tavolo ginevrino, si era dimostrato la carta vincente della partita di Hồ Chí Minh, che ottenne la libertà per il nord del paese ed elezioni imminenti al sud, che a ragione avrebbero unificato il Vietnam sotto una repubblica comunista.
Le forze occidentali come è noto non rispettarono l’ultima parte del trattato, ma un’altra vittoria, questa volta firmata Việt Cộng, nacque da queste premesse.
Ai primi di marzo divenne chiaro agli occupanti che i Việt Minh si stavano preparando alla controffensiva, concentrando un importante numero di truppe nell’area.
La notte del 13 marzo iniziò con un attacco a sorpresa l’offensiva comunista, sotto la direzione del generale Võ Nguyên Giáp. Con poche e rapide mosse i Việt Minh erano riusciti a circondare la base con grosse batterie di mortai pesanti, che solo la prima notte scaricarono sugli assediati oltre 9.ooo colpi. La battaglia venne presto spostata da Giáp su diversi fronti: tutte le postazioni collinari erano costrette solo sulle proprie forze, essendo troppo distanti dalla base e tra di loro, per potersi dare man forte. Ciò che colse di sopresa i francesi fu l’aver sottovalutato la capacità di muoversi su di un terreno così accidentato del nemico, che invece riuscì a portare fin sotto il loro naso un gruppo di fuoco di così grandi dimensioni.
Già alla fine di marzo, con le forze e il parco d’artiglieria acquisito, Giáp avrebbe potuto lanciare tutti i suoi battaglioni contemporaneamente contro le difese di Dien Bien Phu e schiacciare la guarnigione all’interno. Invece si decise per delle azioni meno costose che facessero “sanguinare lentamente l’elefante che muore”.
I francesi riuscirono a resistere fino all’inizio dei lavori della Conferenza di Pace di Ginevra (che iniziarono il 26 aprile), ma soccombettero il 7 di maggio, dopo un ultimo assalto frontale dei vietnamiti.
Quell’asso che il governo di Parigi avrebbe voluto nella sua mano al tavolo ginevrino, si era dimostrato la carta vincente della partita di Hồ Chí Minh, che ottenne la libertà per il nord del paese ed elezioni imminenti al sud, che a ragione avrebbero unificato il Vietnam sotto una repubblica comunista.
Le forze occidentali come è noto non rispettarono l’ultima parte del trattato, ma un’altra vittoria, questa volta firmata Việt Cộng, nacque da queste premesse.
L’assedio di Borgo Dora
10-Mar-12Sono le sette meno venti quando hanno inizio le operazioni. A Borgo Dora arrivano le camionette una dopo l’altra e si dispongono ad occupare le strade. Sono colme di poliziotti e carabinieri, almeno un’ottantina, già pronti con gli scudi e i manganelli, e poi ci sono gli agenti in borghese del Commissariato delle Porte Palatine, gli ispettori della polizia politica, i Vigili urbani a bloccare il traffico e i pompieri con l’autoscala. Cingono d’assedio il lato Sud del quartiere, bloccando via Mameli proprio dove si incontra con la piazza del mercato, via Borgo Dora all’altezza della vecchia trattoria sulla salita che porta in Corso Giulio, e poi via Lanino e poi di nuovo via Mameli giusto prima della scuola materna. Nessuno può più passare, neanche a piedi, neanche se spergiura di abitare nella zona sotto attacco: gli unici che dopo qualche insistenza hanno libero transito sono alcuni macellai della Tettoia che hanno i magazzini in quei cortili.
L’obiettivo di tanti muscoli esibiti alla luce del primo mattino è una famiglia del quartiere come ce ne sono tante: papà, mamma e una bamina di sette anni che frequenta le elementari proprio qua dietro. Hanno la colpa, i tre, di essersi incaponiti nel resistere allo sfratto dal loro piccolissimo appartamento nel cuore di Borgo Dora. Picchetto dopo picchetto, tra le promesse sempre disattese dei Servizi sociali e i rinvii strappati a forza di determinazione, accompagnati da tantissimi amici complici e solidali, il tempo è passato veloce: è un anno e tre mesi che si resiste, tutti assieme. Questa volta però la Questura decide di ristabilire l’ordine e si muove in grande, grazie anche alla grande disponibilità di mezzi data dal rallentare delle mobilitazioni in Valsusa. I padroni di casa – che di appartamenti ne hanno altri, e palazzine, e licenze al mercato – possono finalmente tirare un sospiro di sollievo: sono anni che fremono per non perdere l’affare della riqualificazione di Borgo Dora e i tre sono l’ultimo ostacolo da superare.
Ascolta la prima diretta della mattina, effettuata da Radio Blackout qualche minuto prima delle otto con uno dei solidali accorsi in quartiere…
http://www.autistici.org/macerie/?p=29082
…e quella con un compagno dal ballatoio dell’appartamento: http://www.autistici.org/macerie/?p=29082
Nel giro di mezz’ora la rete dei solidali si attiva, ed in piazza accorrono una cinquantina di persone – tra compagni, amici ed altri sfrattati italiani e stranieri – che cominciano a percorrere il mercato col megafono e bloccano il traffico a singhiozzo. Il ballatoio della casa è diviso da una grata: da una parte la famiglia e i solidali pronti a barricarsi dentro l’appartamento, dall’altra l’Ufficiale giudiziario, l’assistente sociale e i poliziotti. Il capo del Commissariato, Gian Maria Sertorio, insiste per sfondare senza tante chiacchiere ma la situazione rimane bloccata ancora per un po’, mentre i Vigili del Fuoco montano un enorme materassone in strada e occupano un balcone al piano di sotto.
Poco dopo le nove il fabbro e la polizia cominciano a sfondare la porta che dà sulle scale… http://www.autistici.org/macerie/?p=29082
…mentre il presidio fuori si ingrossa, urla, e segue gli avvenimenti da dietro il cordone della polizia, ad una cinquantina di metri di distanza. Da una casa cala uno striscione di solidarietà e poco dopo una giovane mamma brasiliana – sfrattata da poco e ora costretta a farsi ospitare da amici – monta una tenda in mezzo alla strada e si mette a scrivere frasi di protesta sull’asfalto. Quando dentro casa oramai la polizia ha sfondato e sta identificando gli occupanti, un piccolo corteo comincia a percorrere la piazza: al megafono, ad arringare i passanti e a lanciare slogan, altri sfrattati della zona che in questi mesi stanno resistendo.
Dopo le 11 è tutto finito. La gente barricata in casa viene rilasciata senza conseguenze, la serratura è sostituita e le camionette si ritirano velocemente. I funzionari di polizia sanno benissimo che più a lungo si protrae l’assedio, più passanti possono cogliere in un solo colpo d’occhio da quale lato della barricata sociale è schierata la polizia. Ancora qualche giro e i partecipanti al corteo si sciolgono. Qualcuno rimane in strada a chiacchierare: nei suoi giri il corteo ha incrociato altra gente sotto sfratto e ci sono nuove resistenze da organizzare.
macerie @ Marzo 9, 2012
IL PROGETTO DELL’ALTA VELOCITÀ PUZZA DI MARCIO.
Oggi l’aria dentro le carrozze di un treno Frecciarossa è stata resa irrespirabile.
L’ideologia dell’alta velocità è la stessa che porta Trenitalia a sopprimere i treni locali, a creare quattro nuove classi aumentando le tariffe, a tagliare i treni notte, a licenziare centinaia di lavoratori. Questa ideologia puzza del profitto con cui si arricchiscono le imprese, puzza del cemento e delle ruspe con cui devastano i territori, puzza dei gas lacrimogeni con cui hanno provato ad asfissiare la resistenza che in questa ultima settimana si è espressa in tutto il paese.
Oggi un po’ di quella puzza è stata restituita al mittente.
La Val di Susa e Roma sono più vicine di quanto si crede. Devastazione dei territori, progetti folli e polizia è ciò che accomuna i quartieri di questa città dove già corre il TAV con ogni angolo della Val di Susa.
Con la sola differenza che il TAV in Val di Susa non correrà mai.
Ora e sempre NO-TAV Libertà per gli arrestati e le arrestate
E’ la pena che i giudici hanno inflitto a Ilaria Ciancamerla, 20enne accusata di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, oltre al pagamento di 500 euro a Comune, Atac e Ama
Nuova condanna in tribunale per gli incidenti del 15 ottobre scorso durante la manifestazione a Roma degli ‘Indignati’. Due anni e 4 mesi di reclusione è la pena (sospesa) che i giudici della decima sezione hanno inflitto a Ilaria Ciancamerla, 20enne accusata di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. La giovane, cui sono stati revocati gli arresti domiciliari, è stata condannata anche al pagamento di 500 euro ciascuna alle parti civili Comune di Roma, Atac e Ama.
Il pm Luca Palamara ha chiesto tre anni di reclusione ritenendo ”sbagliato e processualmente rilevante” il comportamento tenuto quel giorno dall’imputata che alcune foto hanno immortalato vestita di nero, con tanto di cappuccio per non farsi riconoscere e nell’intento di lanciare un sanpietrino. Stando al poliziotto che ha proceduto al suo arresto, Ilaria Ciancamerla era stata vista anche brandire una spranga di ferro. Circostanze negate dalla diretta interessata che ha cercato di sminuire la portata delle accuse: ”Ammetto di aver preso quella spranga ma l’avevo scambiata per l’asta di una bandiera. Mi stavano arrivando oggetti addosso da ogni parte della strada, quando le forze dell’ordine hanno ordinato la carica sul gruppo di manifestanti violenti, e questo bastone mi sarebbe servito per difesa. Stesso discorso per il sasso che ho trovato per terra e lanciato un paio di metri più in là, più per sfogo che per colpire qualcuno”.
Il suo difensore, l’avvocato Cesare Antetomaso, ha chiesto l’assoluzione: ”La ragazza, alla sua prima manifestazione, non ha preso parte ad alcuna azione violenta, non ha lanciato bottiglie né brandito la spranga. Brandire è una cosa, prendere è un’altra. Tra l’altro, per i colpi ricevuti durante la manifestazione lei è stata anche refertata. E’ chiaro che, ingenuamente, ha pensato di potersi difendere da altre aggressioni. E pure il lancio della pietra, sebbene sia da censurare, non ha fatto danni né colpito qualcuno”.
In udienza non sono mancati alcuni momenti di tensione quando, dopo la deposizione in aula del poliziotto che ha raccontato le fasi dell’arresto, il fidanzato dell’imputata si è lasciato andare a commenti pesanti all’indirizzo dell’agente: ”Vatti a lavare, hai la coscienza sporca, con questo arresto hai rovinato la vita di una persona”. Il giovane è stato poi identificato e allontanato dall’aula. Quella della Ciancamerla è la quinta condanna in ordine di tempo per gli incidenti di metà ottobre: la stessa sezione del tribunale ha già condannato Giovanni Caputi (3 anni e 4 mesi) e il romeno Robert Scarlat (2 anni). Pene più pesanti, invece, sono state inflitte dal gup Anna Maria Fattori il 22 febbraio scorso: 5 anni a Giuseppe Ciurleo e 4 anni a Lorenzo Giuliani.
Isolare i violenti
09-Mar-12AGGIORNAMENTI SU JUAN E TOBIA
08-Mar-12Qualche aggiornamento su alcuni degli arrestati, se non tutti ne fossero venuti a conoscenza…
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Su Juan, che alla notizia di ciò che è successo a Luca si è rifiutato di rientrare in cella:
Juan denunciato per protesta solidale No Tav in carcere
Un aggiornamento a proposito della protesta messa in atto da Juan il 27 Febbraio nel carcere di Spini di Gardolo in solidarietà con Luca e la lotta contro il Tav: il 2 Marzo in seguito alla protesta Juan è stato sottoposto ad un consiglio disciplinare che gli ha affibbiato una denuncia penale per resistenza e un rapporto disciplinare con conseguente sanzione
Per scrivergli:
Juan Antonio Sorroche Fernandez
Casa Circondariale – Via Beccaria, 134 – Loc. Spini di Gardolo – 38014 Gardolo – TN
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Su Tobia, che agli arresti domiciliari ha intrapreso lo sciopero della fame:
6° giorno di sciopero della fame di TOBIA IMPERATO e i media tacciono.
Tobia Imperato, uno degli arrestati del 26 gennaio scorso, in arresti domiciliari dal 13 febbraio, con il divieto di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano, ha iniziato sabato 3 marzo uno sciopero della fame.
Tobia protesta contro il rigetto delle richieste di autorizzarlo ad assentarsi da casa per andare a lavorare presso l’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea, dove lavora da tempo come bibliotecario, e a comunicare con persone estranee al suo nucleo familiare.
La sua attuale situazione di isolamento, imposta e mantenuta ad oltre 8 mesi dai fatti che gli vengono contestati, si rivela per certi versi deteriore rispetto alla sua precedente situazione carceraria, dove almeno poteva scrivere lettere all’esterno, e sembra dettata, al pari di quella degli altri indagati, da una logica esclusivamente punitiva, del tutto sganciata da quei principi generali, di adeguatezza e idoneità, che regolano l’applicazione delle misure cautelari nel nostro codice di rito.
La misura cautelare è stata imposta a Tobia perché, secondo l’accusa, egli si sarebbe contrapposto ad un poliziotto nel corso dello sgombero del presidio della Maddalena il 27 giugno 2011.
In realtà, nelle foto prodotte dalla Polizia si vede unicamente un contatto tra la mano di Tobia e l’avambraccio di un operatore delle forze dell’ordine. Attraverso la testimonianza di una altro manifestante presente al fatto e il reperimento di un filmato scaricato dal web è stato possibile ricostruire integralmente la scena.
Il contatto in questione avviene su un ripido pendio a fianco dell’autostrada ed è preceduto da un intervento piuttosto rude di alcuni poliziotti che hanno appena buttato per terra un manifestante con le mani alzate. Il contatto dura solo un paio di secondi, senza che si possa apprezzare alcun intento violento da parte di Tobia.
Tobia ha sostenuto, con dichiarazione spontanea resa in interrogatorio, di essersi aggrappato al poliziotto perchè stava scivolando all’indietro. In effetti, dal filmato si vede che, immediatamente dopo aver appoggiato la mano sul poliziotto, egli cade all’indietro e scivola giù per la scarpata.
Resta veramente difficile comprendere come per una vicenda di questo spessore si possa decidere di richiedere e di applicare una misura cautelare.
Movimento NO TAV
SOTTO IL CARCERE DI VELLETRI
08-Mar-12
Quanta rabbia abbiamo provato alla notizia della condanna di Lorenzo e Giuseppe?
Quanta altra sapendo che Giovanni doveva ancora rimanere in carcere?
Oggi come oggi, ribadire, gridare e far sentire concretamente che nessuno/a è solo/a è indispensabile.
Per Sabato 10 marzo alcuni/e compagni/e si sono fatti/e promotori e promotrici di un presidio sotto il carcere di Velletri, per portare un saluto a Giovanni, che in una delle sue lettere, ci ha detto chiaramente: “Se venite nel piazzale e vi mettete vicino ai due alberi, riesco anche a vedervi…”
Tocca fare un piccolo sforzo, che in fondo è una cazzata per chi lotta per le proprie libertà e quelle di tutti/e.
Sveglia un po’ prima e tutti/e a Velletri.
Per chi vuole c’è un appuntamento per andare insieme da Termini alle 9.30 e prendere il treno regionale delle 10.07.
Durante il presidio allestiremo un gazebo dove raccoglieremo libri, materiali, messaggi, lettere, riviste, disegni, poster, manifesti, magliette, insomma qualsiasi cosa tu voglia far arrivare ai ragazzi che sono al momento privati della loro libertà, per far sentire vicinanza e solidarietà…
Se ne colpiscono alcuni/e, per mettere paura a tanti/e ed è in tanti/e che bisogna rispondere.
Perchè nessuno/a rimanga solo/a, ci vediamo sotto il carcere di Velletri alle ore 11.
TUTTE LIBERE ! TUTTI LIBERI !
Giovanni, Robert, Ilaria, Lorenzo, Giuseppe: nomi come altri, di persone tra tante.
Nomi come altri, tra tutti coloro che il 15 ottobre erano a Roma.
Persone tra tante, che quel giorno hanno portato la loro rabbia per le strade della città.
Giovani ragazzi e ragazze, ai quali lo Stato sta presentando il conto; sentenze “esemplari”, che suonano come monito rivolto a tutti coloro che osino alzare la testa, a tutti/e coloro che non si rassegnano a recitare un copione già scritto, a tutti/e coloro che esprimono conflittualità al di fuori delle regole imposte e del consentito.
Se, infatti, il sistema impone delle regole per la sua stessa esistenza, chi ha fatto e continua a fare il gioco dei poteri forti?
Chi divide tra buoni e cattivi? E chi continua ad accettare questa distinzione?
Giovanni, Robert, Ilaria, Lorenzo, Giuseppe: ragazzi e ragazze che hanno avuto, come tutti/e gli/le altri/e, le loro buone ragioni per non restare a casa, da contrapporre a quelle di chi, in questo paese come in tutto il mondo, antepone gli interessi di banche, padroni e politici di ogni colore, alle vite delle persone.
Al momento a pagare sono loro.
3 anni e 4 mesi per Giovanni, ancora rinchiuso in carcere.
2 anni per Robert.
Ilaria ancora agli arresti domiciliari in attesa della prossima udienza.
E il 22 Febbraio un’altra batosta: 5 anni per Giuseppe, altri 4 per Lorenzo.
I mostri sbattuti in prima pagina, con la maschera confezionata su misura: il Tg5 vomita menzogne e millanta inesistenti video che ritraggono Lorenzo e Giuseppe mentre lanciano dei sassi, dopo che il magistrato Anna Maria Fattori, accogliendo in tutto le richieste del Pm Ilaria Calò, ha sputato la sua sentenza, infame ed inequivocabile: non si punisce il fatto specifico, ma l’aver partecipato alla manifestazione del 15 Ottobre. Compartecipi della rabbia che accomuna tutti/e noi per una vita da sfruttati/e, per una crisi fatta pagare alle popolazioni di tutto il mondo, per un presente che parla di esclusione dai bisogni primari, di sottomissione ai profitti del capitale e ai diktat del mercato.
E il solito stucchevole ritornello: i manifestanti buoni e quelli cattivi.
Ma chi sono questi ragazzi/e? Chi è Giovanni? Chi è Robert? Chi è Ilaria? Chi è Giuseppe? Chi è Lorenzo?
Ragazzi/e come tanti/e, sfruttati/e tra gli sfruttati/e. Che vengano da un paese del sud Italia o dall’est Europa, che abitino la periferia di Roma, o siano emigrate in un altro paese, che studino, lavorino o si arrangino come possono.
Nomi diversi, vite diverse, stessa rabbia.
Oltre a loro, altri 14 denunciati.
Nomi diversi, vite diverse, tutte colpite dalla repressione.
Tra loro non si conoscono, ma si sono riconosciute in tutte le persone che erano in piazza San Giovanni quel giorno: troppe per conoscersi tutte tra loro, abbastanza da stare fianco a fianco e mettere paura a chi ci vorrebbe indifferenti e rassegnati.
Affinché Giovanni, Robert, Ilaria, Giuseppe e Lorenzo non rimangano solo dei nomi.
Affinché nessuno sia solo/a, affinché la paura cambi di campo.
La solidarietà è un’arma.
La rabbia non si arresta. Libertà per tutti e tutte.
SABATO 10 MARZO: UN SALUTO A GIOVANNI E UN PENSIERO A ROBERT, ILARIA, GIUSEPPE E LORENZO
Una giornata cosciente e militante, gesti concreti di vicinanza e solidarietà.
Il presidio aderisce alla chiamata di mobilitazione sotto le carceri italiane lanciata dal Movimento NO TAV della Val di Susa.
EVASIONI – Rete solidale contro carcere, cie e repressione
Su Radio Onda Rossa sulla frequenza di Roma 87.9 FM o in streaming dal sitohttp://www.ondarossa.info/ Mercoledì 7 Marzo alle ore 11:00 e alle ore 15:00 e Venerdì 9 Marzo alle 17:00, durante Silenzio Assordante, sarà presentata l’iniziativa.
Sabato 10 verso le 12:00 faremo corrispondenze da sotto il carcere di Velletri.
Indicazioni logistiche:
Per chi parte con il treno da Roma appuntamento alle 9:30 a Termini all’ingresso di via Giolitti, vicino le scale (puntuali!).
I treni sono i regionali
Roma Termini – Formia (linea FR7)
Roma Termini – Nettuno (linea FR8)
La partenza è alle 10.07. L’arrivo a Campoleone è alle 10:35.
Per chi arriva alla stazione di Campoleone con mezzi propri (o a piedi) alle 10:30 alla stazione.
Oppure direttamente alle 11:00 di fronte al carcere di Velletri, SP Via Campoleone-Cisterna, Km 8.600
GOOD MORNING, NOTAV!
06-Mar-12Finito un corteo, si apre sempre qualche possibilità. Rischi che non si sono presi, limiti da superare. Tensione, dare continuità alla lotta. Incontri che nascono. Certe cose prima si fanno, poi si dicono.
http://ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2012/03/02/visualizza_new.html_126366069.html
Ieri sera ci diamo un appuntamento, senza stabilire a priori l’obiettivo, ma convinti nell’indicazione del movimento. Bloccare tutto – dappertutto. Stamattina levataccia alle 6, appuntamento alle 7 a una fermata del metrò. Colazione veloce, una rapida occhiata ai blocchi di ieri in valle, il tempo di essere tutti pronti. Siamo una quindicina, alcuni di noi non si conoscono se non di vista, via si saltano i tornelli che manca poco. Curiamo i dettagli in banchina, e sulla metro affollata siamo quasi invisibili. Arriviamo alle 7.40 alla stazione di Rogoredo. Aspettiamo l’arrivo del treno, nascosti. Fuori uno striscione, megafono, un paio di torce. Una vedetta parte per avvertirci degli sbirri in arrivo, ma a quest’ora Milano è intasata e ci metteranno una mezz’ora ad arrivare in camionetta. Un Frecciarossa sta arrivando alle 7.52, diretto a Roma, mentre sui binari a fianco schiere di pendolari scivolano tra i sottopassaggi e gli autobus in piazzale. Si parla soprattutto con loro. Un ferroviere se la ride, viene a vedere i suoi colleghi in frecciarossa che smattano, dietro alle puntualizzazioni indignate dei passeggeri. Dov’è la polizia? Qualche simpatizzante della delazione cerca di immortalarci le facce, altri ne approfittano per fumarsi una sigaretta. Intanto il frecciarossa resta lì per una ventina di minuti, immobile. Le porte non possono chiudersi con noi in mezzo. Ultimi cori e, senza nemmeno aver incrociato un DIGOS, si torna alla metro, al flusso immenso del mattino, e anche noi dopo questo momento comune ci troviamo separati chi dal lavoro, chi dalla scuola. Ma ci saranno tante altre occasioni per organizzarsi insieme, per trasformare un incontro in qualcosa di pratico e di comune, per diffondere la pratica dei blocchi, per rendere la lotta qualcosa di sempre più legato al quotidiano, alla vita. Come in valle. Parlatene con i vostri amici, bloccare un frecciarossa è sempre possibile!
da: http://notavliberi.noblogs.org/post/2012/03/02/good-morning-notav/
Tutto il mondo in un frammento
Tre ipotesi sulla lotta in Val Susa
1. La lotta in Val Susa non è una lotta locale.
Se si vuole continuare a chiamarla così, occorre dare alla parola “locale” tutt’altro senso da ciò che si intende abitualmente. Un punto di forza di questa lotta è la sua capacità di collegarsi con moltissime altre situazioni. Attraverso gli anni si sono tessuti legami, sono state tracciate linee di corrispondenza, si sono scoperti sentieri segreti tra la Val Susa e innumerevoli altri luoghi in Europa. E’ proprio sul suo terreno che la lotta ha già sconfitto il treno ad alta velocità: è stata capace di ridurre le distanze in proporzioni vertiginose – sia tra abitanti della stessa Valle che tra valsusini e “gente da fuori”.
I No TAV hanno tuttavia stretto un rapporto molto intenso con il terreno centrale della lotta, la Val di Susa, costruendo poco a poco una forza d’urto che non si ritrova da nessun’altra parte della penisola.
In una certa misura, i No TAV hanno superato l’opposizione fittizia fra locale e globale. Fittizia nel senso che da una parte non vi è più quasi nessun luogo sul pianeta che non sia connesso ai flussi globali: importazione ed esportazione di merci, imposizione della cultura, della lingua, della sovranità dei colonizzatori, collegamento alle reti telefoniche e informatiche, copertura satellitare, immigrazione ed emigrazione; fittizia anche perché dall’altra parte non vi è nessun potere né nulla che lo combatta che non sia materiale, collocato, che non si esprima nella configurazione fisica, topologica dei luoghi e delle cose.
La potenza che si esprime in Val Susa deriva dal fatto che non si lotta contro delle astrazioni (il Capitale, lo Stato, una legge, l’inquinamento o la mafia per esempio) ma contro la maniera concreta – localizzata – attraverso cui queste astrazioni governano delle vite, configurano degli spazi, diffondono degli affetti.
Cosa vuol dire essere No TAV? Vuol dire partire da un enunciato semplice: “il TAV in Val Susa non passerà mai” e organizzare la propria vita per fare in modo che quell’enunciato si verifichi. Da vent’anni, moltissimi si sono incontrati intorno a questa certezza. Da lì, da quel punto molto particolare su cui non si cederà mai, tutto il mondo attorno si riconfigura. La lotta in Val Susa riguarda il mondo intero, non in quanto difende in generale il « bene comune », ma perché lì viene pensata in comune una certa idea di ciò che è bene. Questa si scontra con altre concezioni, si difende da chi la vuole annientare e si lega con chi si trova in affinità con essa.
2. La Val Susa è parte della metropoli.
La Val Susa viene spesso descritta dai suoi detrattori come un luogo arretrato, popolato da montanari incolti, che rifiutano il progresso riscaldandosi con la legna dei loro boschi sperduti. E’ una falsa caricatura. Allo stesso tempo, molti No TAV veicolano un’altra caricatura, inversa a questa: la Val Susa sarebbe una valle bellissima, selvaggia, vergine, che il mostro del TAV vorrebbe distruggere, sfruttare, annientare. Come nel villaggio di Asterix o il pianeta del film Avatar, si tratterebbe di difendere un territorio incontaminato minacciato dalle forze del male, sbarcate per colonizzarlo. E’ tempo di sbarazzarsi di queste due caricature speculari e affermare chiaramente: la Val Susa è parte della metropoli. E’ un’evidenza che non tutti vogliono ammettere, in valle, ma sopratutto fuori, dove si è diffuso un “mito della valle”.
Chi sono in fin dei conti questi mitizzati valsusini? Quanto sono diversi a priori del resto degli Europei? Non si rincoglioniscono, forse, con la stessa televisione, non mangiano le stesse merendine, non desiderano le stesse merci? I loro figli non giocano, forse, con le stesse playstation? La loro memoria, ancora iscritta negli anfratti di roccia, ricca di storie di eretici, streghe e partigiani è trasformata in folklore dalle guide turistiche e soprattutto privata di ogni potenziale pericolosità storica. La comunità valsusina, se mai fosse esistita, oggi non esiste più. La possibilità di esistere, in quanto tale, è tutta nel suo divenire.
Percorsa da un enorme viadotto autostradale, sfigurata dalle centrali idroelettriche, folklorizzata dall’industria del turismo, per quanto si possa essere affezionati alle acque della Clarea, la Val Susa non è una valle incontaminata, un’isola felice fuori dai flussi di merce che costituiscono la trama del mondo.
Al contrario, la Val Susa è già oggi, TAV o non TAV, un corridoio ad alta portata della rete transeuropea di trasporto merci, e di conseguenza ne sopporta il peso infrastrutturale devastante. Il confine tra metropoli e montagna si è ormai perso nello spazio tempo della logistica, che annulla le distanze, distruggendo ogni prossimità e ogni differenza. Rimane dunque ben poco da “conservare” in questa terra di vigne abbandonate e poli internodali.
Per questo motivo i luoghi che il movimento si è dato nel corso di questi vent’anni, come i blocchi in autostrada, la baita Clarea o il presidio di Venaus, o, ancora più intensamente, esperienze come la Libera Repubblica della Maddalena, non si sono limitati a difendere un “territorio” per come era, ma l’hanno vissuto ed abitato per come poteva essere.
Lo stesso si può dire dei quartieri delle nostre città, che dal punto di vista urbanistico non esistono più, ma nulla (a parte forse la polizia) ci impedisce di provare a viverli come tali.
La lotta non difende un territorio che la precede, ma lo fa esistere, lo costruisce, gli dà consistenza.
3. Che il “cantiere” di Chiomonte non sia nient’altro che una caserma non è un’assurdità.
Anzi, questo fatto mette a nudo l’essenza stessa di ogni infrastruttura, l’indistinguibilità tra il flusso e il suo controllo. Il carattere sempre più immanente, orizzontale, diffuso di questo cosiddetto “controllo”, sempre più introiettato nell’architettura del mondo fisico, sempre più impossibile da isolare dai processi su cui si “applicherebbe”, ci fa riflettere sull’appropriatezza di questa nozione.
A volte ci si domanda: la valle è militarizzata per difendere un cantiere o è questo cantiere, a prima vista privo di senso, ad essere un pretesto alla militarizzazione? Non si sa più chi serve e chi comanda. E sarà sempre di più così, mano a mano che politica ed economia, queste astrazioni tutto sommato abbastanza recenti, si sciolgono in ogni dispositivo, mano a mano che il governo degli uomini si confonde con l’amministrazione delle cose.
L’ordine non è mai consistito nell’impedire la circolazione, ma sempre nel regolare, selezionare. Il TAV non è una macchina di morte, è una macchina che ordina la vita, le dà una certa forma, una certa velocità. E si può dire la stessa cosa di ogni manifestazione del capitalismo nelle nostre esistenze. Non si può più dire che il TAV, o qualsiasi altro abominio, sia inutile, assurdo, insensato. “Di fronte ad ogni dispositivo, la domanda sbagliata è: «a che serve?». La domanda giusta, materialista è invece: «cosa produce, quale operazione realizza questo dispositivo?”.
La linea ad alta velocità è ideologia materializzata. La concretizzazione, fatta di cemento, d’acciaio e di divise blu di una concezione del mondo del tutto estranea a noi ma che non possiamo permetterci di non capire. Le lunghe liste di ragioni contro il TAV descrivono un’opera priva di senso, anche da un punto di vista statale o capitalistico. Senza nulla togliere all’utilità di tali documenti, per propagare la diffidenza nei confronti del progetto, occorre fare un passo in più e cercare di decifrare la logica dietro quell’infrastruttura apparentemente illogica. Ci manca spesso il linguaggio per farlo, le giuste categorie, abituati ad esprimerci nell’inadatto gergo politico del secolo scorso. Ma vale la pena sforzarsi, perché scoprendo i principi che reggono questo mondo nel cuore della sua infrastruttura potremmo anche trovare la formula per rovesciarlo.
Ogni governo è tecnico, il potere sta nelle infrastrutture. Blocchi ovunque, autonomia diffusa.
(testo distribuito durante il corteo del 25 febbraio in Val Susa)
Appello presidio per Valerio
06-Mar-12
Sappiamo bene qual’è l’effettiva natura di questo processo, perchè i precedenti contro gli/le altr* manifestant* di quel giorno ce l’hanno confermato: persa completamente la dimensione giuridica, sono gli strumenti palesemente politici con i quali si vuole perseguitare, spaventare e condannare il dissenso.
E’ uno dei mezzi attraverso i quali si spera di ottenere la pacificazione sociale gettando in pasto all’opinione pubblica i capri espiatori del momento, i violenti con cui giustificare quanto è successo.
Ma non ci sono violenti e non violenti. Buoni o cattivi. Ciò che è accaduto il 15 ottobre si spiega solo con la scesa in campo di un sentimento: la RABBIA, che accomuna tutt*, che è sociale.
Per questo è necessario portare la nostra solidarietà a Valerio come a tutt* gli/le altr* vittime di un processo mediatico terrificante con il quale si vuole condannare non solo loro ma ogni forma di dissenso.
Il 15 ottobre c’eravamo tutt*.
LA RABBIA NON SI PROCESSA.
VALERIO LIBERO. TUTTI LIBERI, TUTTE LIBERE.
MERCOLEDI’ 14 MARZO ORE 10 PRESIDIO DI SOLIDARIETA’ PER VALERIO SOTTO IL TRIBUNALE DI PIAZZALE CLODIO.
TUTT* LIBER*!
Giovedì 8 marzo in tribunale per Ilaria
06-Mar-12Giovedì 8 Marzo alle ore 12:00 si terrà un’udienza contro Ilaria.
Appuntamento al Tribunale di Roma (Piazzale Clodio)
Palazzina A, 1° piano, Aula 10
NO TAV: LETTERA DI MARCELO
19-Feb-12Sabato 18 ci è arrivata questa lettera del nostro compagno Marcelo, attualmente detenuto nel carcere di San Vittore a Milano:
Per scrivergli : Marcelo Damian Jara Marin – Casa circondariale di Milano San Vittore – Piazza Filangieri 2 – 20123 MILANO
Il vostro calore e la vostra solidarietà riscaldano queste mura fredde. Non mi sono mai sentito solo, sapere che la nostra lotta non è stata invano mi dà la forza che serve in momenti come questi. Ciò che non ci distrugge ci rende più forti.
Questa operazione di polizia non è stata fatta a caso, è stata studiata per cercare di attaccarci su due fronti.
Da una parte cercano di criminalizzare la lotta No TAV per colpire e fare paura a chiunque abbia avuto la pretesa di difendere il suo territorio, la sua vita, il suo presente. Questo perchè sanno bene che la rivoluzione è contagiosa. Tra il Cairo, Tunisi, Atene, Londra, Roma, i partigiani di ieri e i forconi di oggi, la Val Susa, c’è tanto in comune: i funerali dell’indignazione e la presa di posizione collettiva.
Abbiamo mangiato, vissuto e lottato insieme a quella bellissima gente che sono i valsusini. Tutti insieme giorno per giorno, metro per metro, così si sono venuti a creare dei legami affettivi solidi e indistruttibili, è qui che ci attaccano ancora com’è successo qui a Milano con “la banda delle fotocopie”, a Bologna con Fuori Luogo, a Firenze con tutto il movimento studentesco, a Cuneo con gli antifascisti.
In Val Susa si è creata una comunità in lotta che ha messo in atto la critica più radicale al sistema capitalistico degli ultimi anni in Italia e non solo. Il TAV è più che una grande opera inutile e nociva, in Val Susa si giocano le sorti della democrazia, non possono permettere che la volontà di un’intera popolazione vinca davanti agli affari sporchi delle quattro mummie che ci governano.
La militarizzazione del territorio è lo specchio della loro prepotenza, vogliono costringerci con la forza al silenzio e alla sopravvivenza cercando di annullare qualsiasi dimostrazione di autonomia e di riappropriazione della vita.
La Libera Repubblica della Maddalena e tutti i campeggi che ne sono seguiti erano proprio questo: riappropriazione della vita e autonomia, rifiuto del silenzio e della sopravvivenza, per questo il TAV è guerra alla vita.
Abbiamo imparato a non cadere nelle loro trappole. Hanno occupato la nostra Valle, ferito giovani e vecchi con lanci di CS ad altezza uomo, distrutto il nostro territorio, ma abbiamo imparato a non avere paura.
L’evidenza è davanti agli occhi di tutti e mi dispiace deludere le forze dell’ordine, i magistrati e i giornalisti ma nella lotta No TAV non ci sono pacifisti da una parte e “black bloc” venuti da Saturno dall’altra. L’unica divisione che c’è è una bellissima barricata che divide i No TAV da chi fa carriera con l’infamia e il potere.
Un caloroso abbraccio ai No TAV che sono in carcere in giro per l’Italia, a chi ha altre misure cautelari, un abbraccio a tutt*.
La legge non è altro che la cristallizzazione dei rapporti di forza esistenti, per questo mi permetto con modestia di finire questa lettera con una frase che qualcuno dall’altra parte del mondo pronunciò davanti ad una giuria tanti anni fa:
CONDANNATECI PURE
SARÀ LA STORIA AD ASSOLVERCI
A SARÀ DURA!