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Complicità. Affinità. Unicità.

(A Giovanni e ai compagni arrestati il 15 ottobre)

Tre anni e quattro mesi. Treanniequattromesi!
La decima sezione del Tribunale penale di Roma ha deciso.
Giovanni Caputi, che secondo i pisciatori di inchiostro nostrani – nipoti putativi di Montanelli – di professione fa il Black bloc (e cioè, letteralmente: fa il Blocco Nero), è stato condannato per gli scontri di piazza San Giovanni del 15 ottobre scorso. Che poi sarebbe quella volta che una minoranza di qualche migliaio di individui le ha suonate alle forze dell’ordine le quali, prese dalla corsa, nella fretta, hanno dimenticato un blindato. Che tanto blindato, dinanzi alle fiamme, non è stato. Treanniequattromesi!

Resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale. Più uno sproposito in risarcimento danni, la negazione dei domiciliari e la promessa che non è finita qua. La procura ha infatti garantito che procederà pure per devastazione. Una sentenza esemplare, hanno commentato i dotti, i medici e i sapienti. Affannati a trovarsi un posto nella maggioranza di un governo imposto dalla Banca Centrale Europea e infinitamente disinteressati alla sorte del Diritto. In un paese sempre in balia delle emergenze. La vita è fatta di priorità.

Così nessun Travaglio, nessun Gomez, nessun Flores d’Arcais.
Nessun brillante editorialista del Fatto quotidiano, nessun fattone del Manifesto.
Nessuno tra quelli che non dormono per la scandalosa repressione in Tibet, in Birmania, nel Laos. E nessuno neppure tra quelli che trovano fisicamente dolorosa l’immagine di una vetrina in decomposizione. Il gesso della madonnina di Lourdes è stato ripagato con la carne viva di un ragazzo. E la sinistra dei tribunali non ci ha trovato nulla di scandaloso. Anzi, ha sorvolato compiaciuta.

Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri nella vita non fanno i Blocchi Neri. Fanno i posti di blocco. Nella civile e omertosa Ferrara, in una notte di settembre, si misero d’impegno per pestare a morte un ragazzino. Tronfi della divisa, protetti da un anonimato vigliacco, (loro, che accusano il Black bloc di coprirsi!), hanno concluso il lavoretto e sono tornati a fare i Bambi. Gli umili servitori delle istituzioni. Sei anni d’infamie, depistaggi e minacce. Poi la sentenza: tre anni e sei mesi. Treannieseimesi!

Due mesi più di Giovanni Caputi.
Due mesi. La distanza che intercorre tra un sampietrino e la vita di un ragazzo.
Senza contare l’assoluzione di Placanica, i 9 anni per lo sceriffo di Badia al Pino.
Senza contare gli assassini anonimi di Cucchi, Bianzino, Lonzi. E di tutti gli altri, schiacciati sul muro di gomma del nostro sistema carcerario.

Ora, l’avvocato di Giovanni ricorrerà in appello, chiederà i domiciliari. Magari dirà che Giovanni è un bravo ragazzo (e certamente lo è), che era lì per sbaglio, che non ha fatto niente. E andrà bene, più che bene. Perché non si può chiedere a un ragazzo di 22 anni di trasformarsi in Bobby Sands e di marcire in galera, soddisfacendo la sadica volontà di vendetta di uno Stato delegittimato.

Il problema non sarà questo. E riguarderà solo in parte il processo. Il suo e quello degli altri undici compagni arrestati in quel giorno meraviglioso di fuoco e rivolta. Processi, sia chiaro, su cui pure andranno accesi i fari.

Il problema è il nostro. L’isolamento, la delegittimazione, la delazione. Tutto quello che ci circonda. Tutto ciò da cui bisogna separarsi, una volta per tutte. L’abbiamo dimostrato in piazza: chi si somiglia, si piglia. Siamo affini, ci annusiamo come i lupi, muoviamo all’attacco e difendiamo come un unico, immenso collettivo senza sigle. Il resto non ci serve. Davvero, non ci serve. Le gabbie metropolitane, le nicchie in cui vorrebbero costringerci – con l’infamità e le chiacchiere sulla non-violenza – dovranno diventare un nostro punto di forza. Il punto di forza. Perché solo il nostro comportamento, la nostra etica, potranno comunicare la rabbia che viviamo ad un popolo di indecisi e di timorosi. Senza metterci a giocare alla politica a basso costo. Partire da questo: noi non lasciamo i compagni nelle mani dello Stato. Bisognerà scriverlo sui muri, a lettere maiuscole. Farlo comprendere. La nostra solidarietà è difesa di noi stessi, delle nostre vite in gioco, della nostra attitudine a sudarcela. Non il blando esercizio della compassione a comando. Non muta testimonianza.

Giovanni deve tornare in libertà. Perché è uno di noi. E tanto basta. E sulla faccia idiota e criminale del potere, dei poteri, bisognerà sbattere una verità: siamo pronti a ripagarvi dell’odio, della rabbia, della violenza che avete iniettato nelle nostre esistenze. Per quanti anni di galera vorrete comminare, il vostro sarà uno sforzo inutile.

da: http://jacobfoggia.tumblr.com/post/13083506775/complicita-affinita-unicita